Manifesto contro la risoluzione del parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo.

La Associaciò Catalana ex-Presos Politics del Franquisme (ACEPPF), membro della FIR, ha diffuso
questo manifesto politico contro la risoluzione del parlamento europeo che equipara nazismo e
comunismo. Contro quella risoluzione anche L’Aicvas ha pubblicato a suo tempo una risoluzione, poi
condivisa dalle associazioni “sorelle” francese ACER, spagnola AABI e del Lussemburgo. L’Aicvas
condivide il documento della ACEPPF e le mette a disposizione dei lettori.

MANIFESTO DI FOSSAR DE LA PEDRERA

Barcellona, 16 gennaio 2020
Nell’ottobre dello scorso anno 2019, in coincidenza con l’ottantesimo anniversario
dell’inizio della seconda guerra mondiale, il parlamento europeo ha approvato una
risoluzione che equiparava il nazismo e il comunismo ritenendoli regimi in ugual modo
totalitari e genocidi. La questione non è nuova: dagli anni della guerra fredda, i settori
ultraconservatori hanno alimentato un revisionismo storiografico che metteva in
discussione il ruolo della Resistenza e tendeva alla fine ad assolvere i regimi
nazifascisti dalle loro responsabilità criminali caratterizzandoli come reazione,
indesiderabile ma spiegabile, di fronte alla minaccia di estensione del comunismo
sovietico.

Ciò che fino a pochi anni fa era oggetto di un semplice dibattito accademico è
diventato oggi una questione funzionalmente politica. La dichiarazione del parlamento
europeo, su iniziativa principale del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica
Ceca e Slovacchia), con il sostegno dei paesi baltici, chiede di condannare “i crimini
commessi da comunisti, nazisti e altre dittature”, con poca profondità nel delineare il
contesto storico e senza che sia molto chiaro, ad esempio, se il regime di Franco sia
incluso o meno in quest’ultimo guazzabuglio.

Si è deliberatamente dimenticato che la seconda guerra mondiale non iniziò
esattamente con l’invasione della Polonia il 1 settembre 1939, ma ebbe come prologo
necessario la guerra di Spagna dal 1936 al 1939, il primo caso nel continente europeo
di un’aggressione non dichiarata dall’Asse a uno stato sovrano membro della Società
delle Nazioni di fronte alla passività, inane o complice, a seconda dei casi, di un
impotente Comitato di Non Intervento. Si nasconde il fatto che i comunisti spagnoli,
che ricoprirono un ruolo fondamentale come propugnatori della creazione dell’esercito
popolare, misero a frutto la loro esperienza militante antifascista nella resistenza
contro l’occupazione tedesca in Francia e nell’Unione Sovietica, fidando, poi delusi, che
gli alleati li avrebbero aiutati in seguito a rovesciare Franco.

Appare ridimensionata la responsabilità delle potenze occidentali che, con la loro
politica di pacificazione, il cui massimo esempio di umiliazione era stato il Patto di
Monaco del 1938, tolleravano il riarmo tedesco, la rettifica unilaterale delle frontiere e
la sistematica violazione delle clausole del Trattato di Versailles nella vana speranza
che gli impulsi aggressivi di Hitler restassero incanalati esclusivamente in direzione
dell’Europa orientale.

Il valore del contributo militare delle forze comuniste francesi, italiane, belghe,
jugoslave o greche alla sconfitta della Wertmacht è sottovalutato, conseguendo con le
loro azioni nelle retrovie dei territori occupati di ostacolare le linee di
approvvigionamento, sabotare la produzione di guerra e paralizzare il trasporto di
unità, costringendo l’Alto Stato Maggiore tedesco a impegnare le sue forze repressive
che, se fossero state sul fronte, avrebbe causato danni incalcolabili agli eserciti Alleati.
I contributi decisivi dei comunisti francesi e italiani nei governi di ricostruzione
postbellica, tra il 1944 e il 1947, e il loro contributo alla costruzione dello stato sociale
come l’abbiamo conosciuto fino a poco tempo fa, sono stati dimenticati. In Francia, i
ministri comunisti sono quelli che hanno attuato l’assicurazione malattia, il sistema
pensionistico, gli assegni familiari, il riconoscimento dei comitati aziendali, la
cogestione sindacale nei settori produttivi nazionalizzati, la medicina del lavoro, la
regolamentazione degli straordinari e lo statuto minerario.

In Italia, i comunisti hanno promosso la riforma agraria per far uscire il Mezzogiorno
dalla sua arretratezza secolare, hanno messo a pieno regime l’industria settentrionale
e hanno giocato una parte fondamentale nell’ottenere che la Costituzione del 1947
definisse il nuovo regime come “una Repubblica democratica basata sul lavoro”.

In Spagna, i comunisti proseguirono la lotta contro il franchismo dal momento della
sconfitta della Repubblica fino al raggiungimento delle libertà democratiche, senza
cessare nella lotta anche un solo momento dei quattro decenni di vita della dittatura,
a costo di pagare il prezzo di centinaia di giustiziati e migliaia di anni di carcere per i
loro prigionieri.

Qualsiasi equazione tra nazismo e comunismo è moralmente ingiusta, storicamente
sbagliata e politicamente spregevole. I comunisti, eredi di una delle grandi correnti
filosofiche della contemporaneità, hanno contribuito a modellare la civiltà come la
conosciamo; i nazisti, figli della barbarie anti-illuminista, aspiravano a distruggerla.
Strasburgo farebbe bene a preoccuparsi delle espressioni di riconoscimento in Ucraina,
partner privilegiato dell’UE e della NATO, a Stepan Bandera, un leader ultra-nazionalista
e antisemita, responsabile di pogrom e crimini di guerra sotto l’occupazione nazista;
o degli omaggi annuali in Estonia, Lettonia e Lituania alle rispettive unità Waffen-SS,
la cui collaborazione era stata imprescindibile per i gruppi speciali della polizia tedesca
che eseguirono uccisioni di massa della popolazione ebraica, oggi considerati gruppi
patriottici che hanno combattuto per l’indipendenza contro l’occupazione sovietica.
Perché l’equidistanza è il punto impossibile di equilibrio tra vittime e carnefici e perché,
come ha annunciato Bertolt Brecht, “la pancia che ha generato la bestia è ancora feconda”.

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