Beatificazioni di Siviglia, persecuzione antireligiosa in Spagna e politica: non siamo più ai tempi della guerra civile.

Leggo che a Siviglia il 18 novembre sono state beatificate 20 persone (10 religiosi più un
seminarista e nove laici tra cui una donna) in quanto uccisi “in odio alla fede” nei primi mesi della
guerra civile spagnola. Tre giorni dopo è entrato in carica a Madrid il terzo governo Sánchez, a
guida socialista, mentre da giorni migliaia di ultra – nazionalisti spagnoli, manifestanti di destra del
Partido Popular, fascisti e franchisti simpatizzanti di Vox e via elencando continuavano a
manifestare ed a minacciare la devastazione della sede del Partito Socialista a Madrid contro
l’amnistia prevista per gli indipendentisti catalani che ha consentito al governo di ottenere la
maggioranza. Non sono mancati una trentina di ex ufficiali spagnoli in pensione che hanno
auspicato un colpo di stato per “ripristinare la democrazia”. Non so se qualcuno strumentalizzerà la
cerimonia religiosa per legittimare e giustificare manifestazioni sempre più violente, o auspicare
colpi di stato. Qui vorrei solo fare alcune considerazioni in prospettiva storica sulla cosiddetta
persecuzione antireligiosa in Spagna, che ancora evidentemente mobilita parte del mondo cattolico.
Certamente, le uccisioni di alcune migliaia (furono quasi 7.000, quasi tutti maschi, le monache
furono pochissime) di frati e membri del clero durante la guerra di Spagna ad opera delle milizie
repubblicane non è un fatto che faccia onore a chi le ha compiute, ma hanno cause e radici lontane.
Uccisioni che avvennero tra luglio 1936 e gennaio 1937, poi si ridussero moltissimo di numero,
come tutte le uccisioni di civili da parte repubblicana, grazie all’azione del governo che aveva
progressivamente riacquistato la sua influenza dopo il momento caotico seguito al colpo di stato
militare. Appare ugualmente evidente che i combattenti delle Brigate Internazionali non c’entrano
con queste uccisioni. I primi volontari delle Brigate arrivarono in Spagna alla fine di ottobre 1936 e
furono presenti quasi esclusivamente al fronte fino al febbraio 1939. In ogni modo qualche
precisazione va fatta. Ricavo quasi tutte le notizie che riporto qui sotto dal bel volume collettivo
curato da Alfonso Botti, Clero e guerre spagnole in età contemporanea (1808 – 1939) Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2011 che consiglio di leggere per eventuali approfondimenti.
Il clero spagnolo è stato per secoli un clero strettamente legato al potere monarchico, e nei momenti
di crisi un clero politicizzato e combattente che cercava di influire in tutti i modi sulla vita politica e
sociale anche con le armi. L’Ottocento è ricco di esempi in questo senso, a partire dalla guerra di
indipendenza e soprattutto dalle tre guerre carliste che insanguinarono la Spagna in quel secolo.
Guerre combattute tra i sostenitori della successione al trono della figlia di Ferdinando VII, Isabella
II^ (i “cristini” dal nome della reggente Maria Cristina, madre di Isabella), o del fratello, don Carlos
di Borbone (i “carlisti”). Ma in realtà divisi da una visione contrapposta della società, progressisti e
orientati verso la secolarizzazione i primi, conservatori e ultra tradizionalisti i secondi. Gli
esponenti del clero, in particolare del basso clero, appoggiarono i carlisti con le armi, rivestendo
pure cariche importanti nell’esercito. Le figure di preti e monaci a capo di bande armate che
scorrazzavano trucidando i nemici sono diventate leggendarie nelle memorie e nei romanzi. Il cura
Merino, Jerónimo Merino, già governatore militare di Burgos e poi guerrigliero, prima assolutista e
poi carlista, oppure il cura guerrillero Manuel Ignacio Santa Cruz, per fare solo due esempi,
diventano popolari. Il clero appoggiò i carlisti non solo direttamente con le armi ma anche con la
propaganda dai pulpiti, dipingendo la loro guerra contro liberalismo e massoneria (poi quelle contro
anarchismo, socialismo e comunismo) come una guerra santa. I carlisti alla fine persero le loro
guerre (ma rimasero presenti ed armati in alcune zone della Spagna, appoggiando nel 1936 il colpo
di stato militare che darà inizio alla guerra civile) ma il Concordato del 1851 garantì alla chiesa
cattolica una situazione di indubbio privilegio. Relazioni inviate alla Santa Sede nel corso
dell’Ottocento e del Novecento mostravano un clero spagnolo ignorante, a volte corrotto, molto
impegnato in politica e nella ricerca di vantaggi personali, niente affatto inclusivo.
Di fronte ad un clero politicizzato e combattente, almeno a partire dalle guerre carliste ogni moto
popolare in Spagna era iniziato con incendi di chiese e caccia ai religiosi. La prima matanza de
frailes (uccisione di monaci) dell’epoca contemporanea è del 1834 (un anno dopo lo scoppio della
prima guerra carlista), ha luogo a Madrid, in risposta a voci (in parte vere) che descrivevano gli
istituti religiosi come depositi di armi per i carlisti ed alludevano alla possibilità (falsa, ma che
riprendeva in forma rovesciata le accuse di avere avvelenato le riserve d’acqua che preti e monaci
avevano rivolto nel medioevo ad ebrei ed eretici) che i preti avessero avvelenato le fonti d’acqua
potabile. Incendi di chiese e uccisione di religiosi avvennero in seguito periodicamente sino allo
scoppio della guerra civile nel 1936. Nel 1909, per protesta contro il decreto di arruolamento nelle
truppe coloniali, a Barcellona scoppiò una rivolta repressa dalle truppe con le armi, nel corso della
quale i rivoltosi incendiarono chiese e conventi e fecero un’ottantina di vittime tra i religiosi. Nel
maggio 1931, dopo la proclamazione della Repubblica, si ripeterono analoghi episodi anticlericali
in tutta la Spagna.
Questo si è ripetuto anche dopo il 18 luglio 1936, con la rivoluzione scoppiata dopo il fallito colpo
di stato militare. Le violenze anticlericali avvennero nei primi mesi di guerra, quando il governo
repubblicano aveva perso la sua autorità e le campagne erano in mano alle varie milizie. In seguito
si ridussero moltissimo, sia il governo centrale repubblicano che quelli autonomi, catalano e basco,
si opposero a tali violenze, salvarono la vita a vari religiosi imbarcandoli su navi dirette all’estero.
Nel frattempo anche i franchisti iniziarono a fucilare esponenti del clero. Alfonso Botti ne ha
elencati venticinque, di cui tredici baschi, perché appoggiavano la Repubblica che aveva concesso
l’autonomia alla loro terra.
D’altro canto, il clero spagnolo si era schierato senza ripensamenti a favore di Franco. La “Lettera collettiva” dell’episcopato spagnolo del 1 luglio 1937 dava la misura dell’adesione della chiesa spagnola al colpo di stato militare giustificato anch’esso come “guerra santa”. Nell’estate del 1937 il canonico metropolitano di Buenos Aires, Gustavo Franceschi, dopo una visita in Spagna scriveva alla Santa Sede; “Credo di non calunniare il clero spagnolo, peraltro ammirevole nel martirio (…)
se affermo che non sempre comprese fino in fondo la propria missione (,,,) è evidente che da ora in avanti dovrà lasciare in parte la politica per lanciarsi in un apostolato senza limiti” (Botti, p.37). I
vertici vaticani furono più cauti rispetto ai vescovi spagnoli nel loro appoggio a Franco, ma già nel 1953 il concordato tra Santa Sede e stato spagnolo legittimava definitivamente la dittatura
franchista nella nuova Europa post-bellica. Questo clero politicizzato, armato, combattente, non era
certo un esempio di vita morale, tanto meno di cultura o modello di pacificazione ed inclusione,
come dimostrano le numerose prese di posizione all’interno dello stesso mondo ecclesiastico nel
corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento.
Come si vede, una storia complessa e secolare le cui cause affondano nei modi in cui si era
costituita la “cattolicissima” monarchia spagnola alla fine del XV secolo. Adesso i tempi sono
cambiati? Sarebbe auspicabile qualche riflessione autocritica anche da parte della chiesa spagnola
(riflessioni che non mancarono ad opera di singoli già all’epoca dei fatti) oltre ad insistere su
martirologi e beatificazioni.

Marco Puppini